Nostalgia
Non fatevi ingannare dal titolo di questo post. La nostalgia che provo non è certo per gli anni del fascismo, non è certo per le condizioni politiche che portarono Mussolini, dopo aver di fatto organizzato il delitto di Giacomo Matteotti nel giugno del 1924, ad annientare ogni residuo rigurgito di opposizione, pronunciando il celebre discorso del 3 gennaio 1925:
"Ebbene, dichiaro qui, al cospetto di questa Assemblea e al cospetto di tutto il popolo italiano, che io assumo, io solo, la responsabilità politica, morale, storica di tutto quanto è avvenuto. Se le frasi più o meno storpiate bastano per impiccare un uomo, fuori il palo e fuori la corda! Se il fascismo non è stato che olio di ricino e manganello, e non invece una passione superba della migliore gioventù italiana, a me la colpa! Se il fascismo è stato un'associazione a delinquere, io sono il capo di questa associazione a delinquere!"
"Ebbene, dichiaro qui, al cospetto di questa Assemblea e al cospetto di tutto il popolo italiano, che io assumo, io solo, la responsabilità politica, morale, storica di tutto quanto è avvenuto. Se le frasi più o meno storpiate bastano per impiccare un uomo, fuori il palo e fuori la corda! Se il fascismo non è stato che olio di ricino e manganello, e non invece una passione superba della migliore gioventù italiana, a me la colpa! Se il fascismo è stato un'associazione a delinquere, io sono il capo di questa associazione a delinquere!"
No. La nostalgia che provo - soprattutto quando accendo la televisione e mi capita di guardare un dibattito politico dei giorni nostri - è per lo spessore morale, la fierezza e la dignità dei grandi uomini e delle grandi donne che hanno fatto la storia dell'Italia democratica e antifascista. E quanta nostalgia.
Novembre 1930, Velia Matteotti scrive a Gaetano Salvemini.
"Le parli il cuore, di chi raccoglie e custodisce, giorno per giorno, tutte le disperse parole di un testamento sacro a noi e ai nostri figli. Le dica, il cuore, che ogni giorno si aggiunge a esso una nota, una memoria, il lento lavoro di chi solo crede e spera. E di chi, nel silenzio di se stesso, dalle forze che credeva distrutte, rileva la necessità di vivere e operare come può e come sa, ma con animo puro e forte. Voglia avere, almeno quel poco di consolazione, che un amico dona all'altro nel momento più duro. E pensare che, nel suo stesso culto vivono, vicini e lontani, morti e vivi, i migliori uomini che ancora rimangono."
1 commento:
ci sarebbe da vergognarsi per loro
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